Domenica, 27 Luglio 2008 16:24

Non nominare invano il suo nome

Scritto da  Gerardo

Riceviamo e volentieri portiamo a conoscenza dei nostri lettori il brano che viene dal sito di Controradio e che ci viene segnalato dal nostro amico Stefano Dommi.



Gentile Redazione,
La mattina del 16 luglio, alle ore 8.30, mi trovavo davanti agli uffici della Questura in Via della Fortezza, allo scopo di rinnovare il permesso di soggiorno della mia compagna di vita. Popolava il marciapiede la solita foltissima coda, che susciterebbe l’indignazione di chiunque, se fosse composta da italiani.
Ero proprio sul punto di varcare la soglia, quando il poliziotto di piantone ha apostrofato la piccola e tranquillissima folla che aveva davanti con queste parole: "Non fate casino, Dio albanese!" Dio albanese? Mi sono fermato, interdetto. In tono pacatissimo, ho chiesto: "Mi scusi, ma lei come si permette di usare questo linguaggio? Ha detto ‘Dio albanese’?".
La risposta è stata ferma, ma cortese: "CHE CAZZO VUOLE LEI?"
"Desidero soltanto non sentire questo tipo di linguaggio", ho risposto con la medesima pacatezza di prima.
Mettendo a repentaglio i miei timpani, e forse anche i suoi stessi, il solerte tutore dell’ordine mi ha ammonito: "Lei stia zitto e si faccia i cazzi suoi, altrimenti l’arresto per oltraggio!".
Oltraggio? Curiosa imputazione, da parte di uno che era appena riuscito in un sol colpo a oltraggiare il signore dell’universo, la metà dei presenti e qualche altro milione di persone...
Ma Dio dev’essere davvero albanese, dunque rassegnato, perché invece di infondermi quell’ira che per don Milani era l’unico da salvare fra i peccati capitali, mi ha infuso solo una certa commiserazione per il cuore desolato di quell’uomo.
Ho taciuto. Ma mentre mi allontanavo, il baldo difensore della nostra sicurezza ha proferito con voce meno tonante, ma non tanto bassa da non farsi udire distintamente da tutti, le seguenti parole: "Che animali che sono!". Non erano rivolte a me, ma agli utenti del suo servizio e contribuenti del suo stipendio che calcavano il marciapiede davanti a lui. È stata solo la parte più selvaggia del mio cuore ad incitarmi, in quel momento, a mollargli un calcio ben assestato: l’illirica benevolenza del cielo mi ha salvato dai guai che ne sarebbero seguiti, distraendomi con il sorriso di mia figlia, che dall’alto dei suoi nove mesi stava avanzando del tutto imperturbata fra le bestiali braccia di sua madre. Sono passato con lei negli uffici. Dopodiché qualcuno (che non era italiano) mi ha spiegato che non era il caso di prendersela tanto, perché questo tipo di cose da quelle parti succedono pressappoco tutti i giorni.
È per questo che scrivo questa lettera. Sono un uomo che crede nello Stato.
Se queste cose succedessero ogni giorno, verrebbe da pensare che forse c’è qualcuno più in alto che tollera, che minimizza, che magari addirittura asseconda comportamenti di questo genere: cosa non degna di uno stato civile come il nostro. Dunque spero vivamente che qualcuno possa smentire simili illazioni e dimostrare, soprattutto nei fatti, che non è vero che a Firenze, in Via della Fortezza, succedono ogni giorno queste cose. Altrimenti che dovremmo concludere? Che Cristo si è fermato alla Fortezza, Voltaire in Piazza Indipendenza e nel mezzo c’è una folla di animali?

Con i migliori saluti
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